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L’INDAGINE SU CHI SCRIVE DI SCIENZA

Quanti sono i giornalisti scientifici in Italia, e come si diventa giornalisti scientifici? Per provare a rispondere a questi interrogativi, l’associazione Science Writers in Italy ha avviato sul finire del 2010 un censimento, con il patrocinio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, e in pochi mesi mesi ha raccolto centinaia di questionari (l’indagine è ancora aperta, e chi vuole è invitato a compilarla online all’indirizzo https://www.sciencewriters.it).
L’esigenza che il censimento – il primo del genere in Italia – ambisce a soddisfare è quella di cominciare a mettere meglio a fuoco il panorama generale per poi individuare le specifiche necessità, e in particolare quelle formative.
Perché per chi scrive di scienza i classici ingredienti del buon giornalismo sono certo necessari, ma sempre più spesso non sono sufficienti. Occorre una competenza specifica, che soprattutto quando non poggia su studi accademici in ambito scientifico deve essere coltivata assiduamente.
L’incomprensione è sempre in agguato, e con essa il rischio di farsi manipolare da chi porta avanti un’agenda più o meno occulta, e più o meno legata a interessi, economici o di altro genere. Per rendere un buon servizio ai lettori, chi scrive di scienza deve anche fare i conti con la classica compulsione a mettere in risalto il dettaglio curioso, non di rado futile, a discapito del contesto e degli aspetti più sostanziosi e complessi, o a farsi trasportare dalle suggestioni evocate da ogni tipo di rischio, oscillando da un eccesso all’altro, tra allarmismo e rassicurazione (o oblio), con un andamento molto ben raffigurato da un’analisi condotta con l’uso di Google sugli articoli dedicati nell’ultimo decennio alle minacce vere o presunte (vedi : “Se la montagna partorisce il wi-fi killer”).

L’indagine di Science Writers in Italy in collaborazione con l’Ordine

L’analisi preliminare delle prime 250 risposte, di cui 158 giunte dalla Lombardia, indica che a rispondere sono stati in gran parte giornalisti iscritti all’Albo: 198 su 250 in Italia (79%) e addirittura 141 su 158 (89%) in Lombardia, dove il questionario è stato citato nella newsletter elettronica inviata dall’Ordine a tutti gli iscritti.

Risulta elevato il grado di specializzazione: 186 su 250 (74%) in Italia e 112 su 158 (71%) in Lombardia si occupano esclusivamente o prevalentemente di scienza, ambiente, tecnologia o medicina. Quest’ultima – come medicina o come salute – è la tematica di gran lunga più trattata: il 65% ne scrive sempre, spesso o ogni tanto (senza differenze tra il dato nazionale e il dato lombardo). Attorno al 60% del campione (con un dato lombardo un po’ inferiore a quello nazionale) scrive sempre, spesso o ogni tanto di ambiente.

Maggiori differenze appaiono invece dal confronto per quanto riguarda gli articoli sulla tecnologia (ne scrive regolarmente il 48% dei lombardi rispetto a una media nazionale del 57%) e le cosiddette hard sciences (29% contro 37%).

Questa ampia differenza riflette probabilmente la maggior proporzione nel campione nazionale di blogger e divulgatori che scrivono in rete anche su media di nicchia, rispetto ai giornalisti che devono competere per trovare spazio sui media tradizionali. La matematica in entrambi i casi risulta essere la Cenerentola, con un dato attorno al 18-20%.

Da dove arrivano le notizie?

Quanto alle fonti, il dato lombardo e quello nazionale appaiono in gran parte sovrapponibili: le riviste scientifiche di prima pubblicazione offrono spesso o regolarmente lo spunto per gli articoli al 60% circa dei partecipanti all’indagine (62% per il campione nazionale, 58% per quello regionale). Analogamente, vengono usati spesso o regolarmente come fonte le agenzie di stampa/internet da un giornalista su due. Seguono le segnalazioni da parte di esperti/scienziati (45%), i comunicati stampa (43-44%), altri giornali e riviste italiani o stranieri (40-41%), libri e monografie (34-35%) e le conferenze stampa (30-32%). Una domanda del breve questionario riguarda il tipo di situazione lavorativa, che secondo uno studio recente – condotto in Australia e pubblicato sulla rivista PloS Medicine da Amanda Wilson e colleghi – può avere riflessi significativi sulla qualità della produzione giornalistica in tema di salute e medicina.

I criteri per giudicare la qualità di un articolo di salute sono ovviamente opinabili, ma se inizialmente erano stilati da ricercatori clinici partendo da un punto di vista lontano da quello di chi lavora nei media, da alcuni anni sono messi a punto con un lavoro comune di giornalisti e clinici, con risultati che soddisfano tutti.

L’esperienza più avanzata in questo ambito è quella portata avanti negli Stati Uniti dall’ex giornalista Gary Schwitzer, che valuta con sistematicità gli articoli di salute delle testate a maggiore diffusione, assegnando fino a cinque stelle in base a quanto ogni articolo soddisfa i dieci punti-chiave (Vedi “Notizie a cinque stelle“). Secondo lo studio australiano, gli articoli scritti dai redattori di salute specializzati offrono in media migliori garanzie non solo di quelli dei redattori non specializzati, ma anche di quelli scritti dai free-lance: è plausibile pensare che chi lavora all’interno di una redazione specializzata disponga di una maggiore autonomia nei confronti delle gerarchie del giornale, e quindi di un maggior potere di contrattazione sul taglio da dare agli articoli rispetto ai free-lance.
Di norma, poi, chi è assunto da un editore ha accesso a fondi per corsi di aggiornamento e congressi, per frequentare i quali il freelance deve non solo pagare di tasca propria ma anche rinunciare per qualche giorno a produrre reddito.

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