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LA TESTIMONIANZA di Sandro Boeri – Gianpiero Borella pioniere e maestro

LA TESTIMONIANZA di Sandro Boeri

Gianpiero Borella pioniere e maestro

Il direttore di Focus ricorda i suoi primi passi, a Panorama, con l’inventore del giornalismo scientifico in Italia: «Da lui una lezione attuale per tutti i settori della professione»

Sandro Boeri, Direttore di Focus

Nel 1979 ero un giovane collaboratore di Panorama. Mi occupavo di cultura, politica, esteri, non di scienza. E ogni tanto cercavo anche di capire se c’era qualche possibilità di essere assunto. Quel giorno il nuovo direttore mi disse che sì, la possibilità ora c’era. Ma nella sezione scienza. E mi consigliò di andare a parlare con Gianpiero Borella, che allora era, a Panorama, la sezione scienza al completo. Io avevo fatto il liceo classico, mi ero laureato in filosofia, di scienza ne sapevo quasi niente. Mi ricordo che, rassegnato, gli spiegai la mia sofferta rinuncia: «Ringrazio te e il direttore dell’offerta, ma… penso di non essere in grado».

«Ma io non cerco uno scienziato » disse Gianpiero: «cerco un giornalista. E non c’è scritto da nessuna parte che i giornalisti debbano sapere tutto di quello che scrivono. Anzi, non sapere può essere un vantaggio: quando intervisterai un esperto riuscirai meglio di me a metterti dalla parte dei lettori, a fare le domande che farebbero loro.» E mi fece assumere. Più di 30 anni dopo devo riconoscere che Gianpiero aveva un po’ esagerato: sapere almeno un po’ di scienza è importante. Se sono ancora un giornalista scientifico e non ho mai preso clamorose cantonate lo devo soprattutto al fatto che lui, che di scienza ne sapeva invece un bel po’, era al mio fianco. Nelle sue parole c’era soprattutto un’idea di giornalismo nuova per l’Italia e che mi ha guidato in tutta la mia attività di lavoro. Sia che ci si occupi di scienza, di cultura, di arte o di politica, di economia, sono due le cose fondamentali che un giornalista deve saper fare: 1) riconoscere la notizia, cioè capire dove quando e perché sta succedendo qualcosa di nuovo, e se questo potrà essere interessante per chi ci leggerà; 2) essere in grado di trasmettere l’essenza delle informazioni raccolte a lettori che ne sanno (in genere) meno di noi.

Il giornalismo è, come dice una parola abusata, “media”, cioè “mezzo”: nel senso che è a metà strada e fa da tramite tra i lettori che vogliono essere informati e quello che succede nel mondo. La nostra professionalità non si misura negli esperti che citiamo o nei termini specialistici che inseriamo, ma nell’essere capaci di trasformare fatti disordinati, parole non sempre comprensibili, diversi punti di vista, in ricostruzioni fedeli, testi logicamente ordinati e semplici, concetti comprensibili a tutti. Può sembrare banale, ma non lo è affatto, neppure oggi. Allora il giornalismo scientifico non esisteva. Il mondo della scienza, soprattutto in Italia, era lontano dai pensieri della gente, delle classi dirigenti, degli intellettuali.

Nessuno (tranne Gianpiero) pensava che potesse essere fonte di “notizie”. Veniva guardato con rispetto, ma sentito estraneo. Se un giornale voleva occuparsi di scienza si affidava agli scienziati, non si pensava che fosse compito da giornalisti. Come se la scienza fosse qualcosa di simile alla filosofia, una disciplina interessante ma difficile e un po’ fossilizzata, da lasciare agli esperti. Senza tenere conto per gli esperti “semplificazione” è nella maggior parte dei casi una brutta parola. In pochi anni il lavoro di Gianpiero cambiò tutto. La scienza sfornava notizie a raffica su Panorama. E produceva grandi copertine. Era l’approccio scientifico che ci permetteva di spiegare perché le centrali nucleari fosse meglio non costruirle (e fu Panorama a guidare la battaglia che portò alla vittoria nel referendum). Era la scienza che ci permetteva di essere i primi a parlare di ambiente e inquinamento, di Aids o della fine dei dinosauri. Non solo. Quello che si faceva alla sezione scienza di Panorama era un giornalismo semplice e scarno, attentissimo ai fatti, molto anglosassone, tutto finalizzato a soddisfare i bisogni di conoscenza di lettori.

Talvolta con rigore quasi talebano: c’era l’opportunità di intervistare un premio Nobel che passava da Milano? Non ci interessava. A meno che ci potesse dare una notizia o un commento originale a qualche notizia. Gianpiero esigeva semplicità. Anche questo era rivoluzionario. I giornalisti tendevano a scrivere non per informare i lettori, ma per esibire ai loro interlocutori (gli esperti, e forse ancora di più i colleghi) la loro cultura. I lettori non capivano? Non era rilevante. L’importante era far parte di quell’élite che monopolizzava le conoscenze. E che non aveva alcuna voglia di trasmettere ad altri un monopolio che significa potere.

Non che adesso le cose siano molto cambiate. Quando vengo chiamato a parlare in qualche convegno, vengo definito un “divulgatore”. E ho l’impressione che pronuncino questa parola come se dicessero “un giornalista di serie B”, con il disprezzo che è insito nella sua etimologia: divulgare significa “rendere qualcosa volgare” parola che porta in sé le tracce del disprezzo con cui l’elite nobile guardava il “volgo”. Insomma: è una parola che la dice lunga sull’élitarismo della nostra cultura. Quello che ho imparato alla sezione scienza di Panorama è invece che divulgazione, intesa come semplicità, chiarezza (e mai banalizzazione) è l’essenza del giornalismo, e non solo di quello scientifico. E’ ciò che rende il giornalismo un vero strumento di democrazia, di diffusione di conoscenze, di crescita culturale: il suo presupposto fondamentale.

Come ha insegnato il mio indimenticabile maestro, Gianpiero Borella, fondatore del giornalismo scientifico in Italia.

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